venerdì 21 dicembre 2018

Risonanza ("Voce sonora"), rotondità, omogeneità, soavità e purezza nella vocalità cinque-seicentesca


"Avvertimenti ai Cantori", di Ottavio Durante, presenti alle "Arie Devote, le quali contengono in se la maniera di cantar con gratia l'imitation delle parole, et il modo di scriver passaggi, et altri affetti" - Roma 1608

Risonanza ("Voce sonora"), rotondità, omogeneità, soavità e purezza nella vocalità cinque-seicentesca :

Francesco Patrizi, in "L'Amorosa Filosofia" del 1577, (nel descrivere il canto di Tarquinia Molza, una delle celebri cantatrici di Ferrara) dice :
"La voce dunque sua è un soprano non fosco, non soppresso, non sforzato, ma chiarissimo, aperto, delicatissimo, piano, eguale, SOAVISSIMO; insomma se ei si potesse dire senza peccato, più che angelico; et quello che i musici sogliono appellare ROTONDO, che tanto vale di sotto, quanto in mezzo, e di sopra."

G.C. Brancaccio, uno dei più celebri bassi del XVI secolo, in una lettera da Venezia al duca di Ferrara, Alfonso d'Este, nel dicembre 1581, raccomanda :
"voce TONDA et SONORA, così nel basso, come nell'alto e nella parte di mezzo." Lo stesso duca (lettera del giugno 1589) chiede a proposito di un Basso:
"se ha una buona voce, se le sue voci son dolci, se canta con discrizione, se ha disposizione, come porta le voci alte, e sino a che termine egli profonda la voce."

Ercole Bottrigari, nel dialogo "Il Desiderio" (1594-99) parla di "SONORISSIME et SUAVISSIME voci loro nel canto."

Pietro della Valle, nel Discorso "Della musica dell'età che non è punto inferiore, anzi è migliore dell'età passata" - Roma 1640, afferma :
"Però tutti costoro, da' trilli e passaggi in poi e da un BUON METTERE DI VOCE, non avevano quasi nel cantare altra arte del piano e del forte, del crescere a poco a poco, dello smorzarla con grazia, dell'espressione degli affetti, del secondar con giudizio le parole e i loro sensi; del rallegrar la voce o immalinconirla; del farla pietosa o ardita quando bisogni, e simili altre galanterie, che oggidì dai cantori si fanno in eccellenza bene; in quei tempi non se ne ragionava..."

Claudio Monteverdi, in una lettera allo Striggio del 24 luglio 1627, riferisce dei limiti e delle deficienze vocali di un cantore da lui ascoltato :
"(...) è ben vero che canta sicuro, ma canta però alquanto melancolico, e la gorgia, non la spicca così bene, perchè manca nel agiungere la più parte de le volte la vocale del petto e quella della gozza, perchè se manca quella della gozza a quella del petto la gorgia divien cruda et dura et offensiva, se manca quella del petto a quella de la gola, la gorgia divien come onta et quasi continua nella vocale, ma quando ambidui operano, si fa la gorgia et SOAVE et spiccata, et è la più naturale (...)".

"Spiccato" è il termine più usato nel Cinque-Seicento ed anche un grande strumentista virtuoso, Frescobaldi, consiglia che "Ne i passi doppi similmente si vada adagio, acciò siano spiccati (...)", vale a dire che ogni nota del passo virtuosistico deve risultare ben individuabile nella velocità.

L. Zacconi, in "Prattica di Musica" - Venezia 1592, attesta :
"Et altri (...) non spiccano si forte le figure, cioè non le pronuntiano si bene che per gorgia conosciuta sia. (...) Si aggiunge una quantità di figure che hanno natura di essere velocemente pronuntiate le quali rendono tanto piacere, et diletto che ci pare di udire tanti bene ed ammaestrati Augelli che col canto loro ci rapiscono il Cuore e ci fanno rimaner del cantar loro molto ben contentir".

G.B. Bovicelli, in "Regole e passaggi di musica, madrigali e mottetti passeggiati" - Venezia 1594, asserisce :
"Le biscrome poi, oltre la disposizione della voce devono essere spiccate bene, nè si devono usar molto anch'esse, se non vanno, come detto abbiamo delle crome per grado (...)".

Vincenzo Giustiniani, nel "Discorso sopra la musica de' suoi tempi" del 1628, ricorda il canto delle Dame di Mantova e di Ferrara :
"(...) e di più col moderare e crescere la voce forte o piano, assottigliandola o ingrossandola, che secondo che veniva a' tagli, ora con strascinarla, ora smezzarla, con l'accompagnamento d'un soave interrotto sospiro, ora tirando passaggi lunghi seguiti bene, spiccati, ora gruppi, ora a salti, ora con trilli lunghi, ora con brevi, et or con passaggi SOAVI e cantati piano, dalli quali tal volta all'improvviso si sentiva echi rispondere, e principalmente con azione del viso, e dei sguardi e de' gesti che accompagnavano appropriamente la musica e li concetti (...)"

Severo Bonini, che studiò canto con Giulio Caccini, nella "Prima parte de' Discorsi e Regole sovra la musica" (1649-1650), elogia Margherita, figlia di Francesca Caccini :
"che ciascuno ammirando la sua voce SUAVISSIMA, quasi in canna d'argento RISUONANTE, colma di trilli e gruppi spiccanti accompagnati con mirabili ed affettuosi accenti, faceva a gara per andare ad udirla".

Emilio Del Cavaliere, nella "Rappresentazione di Anima et di Corpo" del 1600, raccomanda :
"che il cantante habbia BELLA voce, bene intuonata, e che la PORTI salda, che canti con affetto piano e forte senza passaggi, et in particolare, che esprima bene le parole, che siano intese, et le accompagni con gesti, et motivi non solamente di mani, ma di passi ancora, che sono aiuti molto efficaci à muovere l'affetto".

Francesco Rognoni nella "Selva de varii passaggi" del 1620 sostiene che il "modo di PORTAR la voce, vuol essere con gratia, il che si fà rinforzando la voce, su la prima nota à poco à poco, e poi facendo il tremolo sopra la negra".

Marco Da Gagliano, negli avvertimenti "Ai Lettori" della "Dafne" - Firenze 1608, volendo chiarire l'uso degli "ornamenti" spiega :
"E qui s'ingannano molti i quali s'affaticano in far gruppi, trilli, passaggi et esclamazioni senza haver riguardo perche fine e a che proposito. Non intendo già privarmi di questi adornamenti, ma voglio, che s'adoperino a tempo, e luogo (...). Procurirsi in quella vece di scolpir le sillabe, per far bene intendere le parole. E questo sia sempre il principal fine del cantore in ogni occasione di canto, massimamente nel recitare, e persuadasi pur ch'il vero diletto nasca dalla intelligenza delle parole."

Monteverdi, trent'anni dopo, ripete lo stesso consiglio, nella Prefazione al "Combattimento di Tancredi et Clorinda" :
"(...) la voce del Testo doverà essere chiara ferma et di bona pronuntia alquanto discosta da gli strumenti, atiò meglio sii intesa nel oratione. Non doverà far gorghe nè trilli in altro loco, che solamente nel canto de la stanza, che incomincia Notte; il rimanente porterà le pronuntie a similitudine delle passioni dell'oratione."

Negli "Avvertimenti ai Cantori" presenti alle "Arie Devote, le quali contengono in se la maniera di cantar con gratia l'imitation delle parole, et il modo di scriver passaggi, et altri affetti" - Roma 1608, il romano Ottavio Durante, con carattere più specificatamente tecnico, dichiara :
"I Cantori (...) devono avvertire d'intonar bene, e di cantar adagio, cioè con la battuta larga, e porgendo la voce con gratia, e pronunziando le parole distintamente, acciò siano intesi; (...) procurino di passeggiare nelle sillabe lunghe, dove a loro bene placito si potranno trattenere, e nelle tre vocali che restano, che sono A. E. O. che sono buonissime per far passaggi, nell'altre due [i. u.] quando vi si affronterà la sillaba lunga, si potrà dare qualche accento, o grazia di poche note, che non disdirà, e soprattutto i passaggi si faranno ad imitazione delle parole, e loro senso."

Indicazioni d'ordine tecnico, ma sempre legate e dipendenti dal fattore espressivo, sono contenute nella raccolta del 1638 di Domenico Mazzocchi, soprattutto in relazione ad effetti vocalico-espressivi nel genere "Lamento":
"(...) dove vi troverà quest'altro segno in forma di lettera v ivi si faccia sollevatione, ò (come si suol dire volgarmente) MESSA DI VOCE, che è l'andar crescendo à poco à poco la voce di fiato insieme, e di tuono, et è specie della metà del sopradetto x, come si pratica ne gli Enarmonici. Ma quando si haverà da crescer la voce solamente di fiato, e di spirito, e non di tuono, sarà segnato con la lettera c, come si è fatto in alcuni Madrigali, et all'hora si osserverà, che si come la tenuta di voce si deve prima dolcemente ingrandire, così anche doppo successivamente si debba à poco à poco andare smorzando, e tanto pianeggiarla, sino che si riduca all'insensibile, ò al nulla".

Il Caccini, nelle "Nuove Musiche" del 1602, base completamente la realizzazione tecnico-vocale sull'uso appropriato della respirazione :
"(...) poichè sono tanti gli effetti da usarsi per l'eccellenza di essa arte, ne è tanto necessaria la buona voce per essi quanto la respirazione del fiato per valersene poi, ove fa più mestieri (...) di essa è pur necessario valersi per dare maggiore spirito al crescere, e scemare della voce alle esclamazioni, e tutti gli altri effetti, che abbiamo mostrati."

Il fulcro illuminante della nuova concezione estetica è la "sprezzatura". Caccini, nella Prefazione alle Nuove Musiche, così ne esemplifica la funzione :
"avvenga che nobile maniera sia così appellata da me quella, che va usata, senza sottoporsi à misura ordinata, facendo molte volte il valor delle note la metà meno secondo i concetti delle parole, onde ne nasce quel canto poi in sprezzatura, che si è detto" e "senza misura quasi favellando in armonia con la suddetta sprezzatura".
Già il conte G. de' Bardi, animatore della fiorentina Camerata, in un "Discorso mandato a Caccini sopra la musica antica e 'l cantar bene" aveva affermato che "si puote à suo piacer la battuta stringere e allargare, avvengale a lui stia guidare la misura à suo senno" e Marco Da Gagliano riprende il termine nella già citata Prefazione alla Dafne "Puossi tal volta congiungere due quadernarij per mostrare una certa sprezzatura" mentre Monteverdi da parte sua avverte "Si canta senza battuta" a proposito delle Lettere Amorose in "genere rappresentativo".

VOX PECTORIS (voce di petto), VOX GUTTURIS (voce di gola), VOX CAPITIS (voce di testa)


Ieronimus de Moravia - "Tractatus de musica", 1280 (pagina del trattato medievale in cui si nominano i registri della voce umana)

VOX PECTORIS (voce di petto), VOX GUTTURIS (voce di gola), VOX CAPITIS (voce di testa) :

"Voces dicimus pectoris que formant notas in pectore; gutturis que in gutture; capitis autem que formant notas in capite.

Voces pectoris valent in gravibus; gutturis in acutis; capitis autem in superacutis.

Nam communiter voces grosse et basse sunt pectoris; voces subtiles et altissime sunt capitis; voces vero inter has medie sunt ipsius gutturis. Nulla igitur ex his alteri ligatur in cantu, sed vox pectoris pectorali, gutturis gutturali, capitis autem capitali."

(Ieronimus de Moravia - "Tractatus de musica", 1280)

--> https://boethius.music.indiana.edu/tml/13th/IERTRA2